Zolla Um

Um
La corrispondenza musicale è con la nota generatrice dei toni, che presuppone il silenzio; la corrispondenza geometrica è il punto, che presuppone il vuoto; nella mistica occidentale la condizione dell’unità ossia della prima causa cioè la causa non causante è detta sovressenzialità, nella Cabala – Cabbala è detta ayn, il nome più segreto di Dio: nulla.

L’unità era dai pitagorici chiamata «assenza di opposizione» ed essi aggiungevano: «il tutto è uno». Essa si rappresenta come androgino o uovo (il pasto pitagorico cominciava dall’uovo per finire alla frutta). Ritorno all’uno, matrice di ogni cosa, è definizione del misticismo. I saggi indiani interrogati da Alessandro su quale fosse anteriore, il giorno o la notte, risposero: «Un giorno»1.

L’uno si può considerare in se stesso, in quanto generatore della serie di numeri, in quanto rapporto fra sé ed il generare. La corrispondenza musicale è con la nota generatrice in sé e la sua capacità generatrice. La Cabala – Cabbala ravvisa questa triade nella forma stessa della lettera alef. Agostinho de Hipona – Agostino definisce la Trindade – trinità appunto : In Pai – Patre est unitas, in Filho – Filio aequalitas, in Espírito Santo – Spiritu Sancto aequalitas unitatisque concordia2. Il sacrifìcio dell’unità genera la molteplicità delle opposizioni, il sacrificio dell’opposizione riconduce all’unità. L’anima è beata quando tocca la (sua) unità, cioè unicità che è la fine fleur, l’apice, la pointe, ciò che ne costituisce la singolarità. Ma conosce se stessa solo quando dice al Dio: «Tu sei», secondo il rito delfico che si ricava da Plutarco. In Rumi – Scelalleddin Rumi è detto sul ritorno all’uno: «Un uomo bussò alla porta dell’amico. “Chi è là?” “Io.” “Non c’è posto per due.” L’uomo ritornò dopo un anno di solitudine. “Chi è là?” “Tu o Amato.” “Poiché sono io, che io entri.” Non c’è posto per due stessi in un’unica casa».

Il nucleo inconfondibile, irripetibile dell’individuo è insieme il divino in lui, il Suo destino specifico è anche il suo contatto con l’universale, in cui il massimo ed il minimo si convertono l’uno nell’altro perché sono un’unità, entrambi; l’assolutamente spontaneo è assolutamente normativo, purché spontaneo s’intenda come ciò che è dopo che sia stata distrutta l’opinione, cioè di ogni traccia di convenienza e persona. Dice Chuang Tzu – Ciuang Tse (12 H): «Al gran principio di tutte le cose c’era il senzaforma, l’essere impercettibile, non c’era nessun essere sensibile e pertanto nessun nome. Il primo essere che fu, fu l’uno. Si chiamò norma la virtù emanata dall’uno che creò tutti gli esseri. Moltiplicandosi senza fine nei suoi prodotti, questa virtù partecipata si chiama in ciascuno di essi sua parte, porzione, destino. Nell’essere che nasce certe linee specificano la sua natura corporea. In questa è il principio vitale. Ogni essere ha la sua maniera di agire che è la sua natura propria. E così che gli esseri derivano dal principio».


  1. Clemente de Alexandria – Clemente, Stromata, VI, IV.[]
  2. Citato da San Tomás de Aquino – Tommaso (Summa Theol., p. 1 ; Q. 39; art. 8). Proclo elenca le tre virtù divine: permanere, procedere, riunire. Il trattato cabbalistico di Egidio da Viterbo (Scechina, Roma, 1959, p. 16) sulle «persone» o maschere dell ‘alef dice : « Distincta non essentia, non virtute, non situ separata, dicunt ut archa inter Querubim – Cherubim: quam rem solus ex nostris olfecit Origenes ». I Cabbalisti dicono che uno dei termini di Dio permane (Keter – Cheter), l’altro procede (Hokmah – Hocma), il terzo converte i due primi (Binah – Bina, o polvere). l miglior compendio delle dottrine cabbalistiche sull’uno fu fornito da S. L. Macgregor Mathers (The Kabbalah Unveiled, Londra, 1962, pp. 22-23): «Dividi 1 per 1 e rimane 1, moltiplicalo per se stesso e resta immutato, perciò bene rappresenta il Padre di tutto, l’immutevole. Ma è di natura duplice e forma un nesso perciò tra negativo e positivo. Nella sua immutevole unità quasi non è un numero, ma per la sua addizionabilità può considerarsi il primo di una serie di numeri. Orbene lo zero è perfino incapace di addizione, come lo è l’esistenza negativa (Ayn). E dunque, come mai, se uno non può essere né moltiplicato né diviso, si ottiene un altro 1 da aggiungergli, cioè : come si fa a trovare il 2 ? Attraverso la sua riflessione, perché, benché incapace di definizione, 1 è definibile, e l’effetto d’una definizione è la formazione d’un doppio o immagine della cosa definita. Così otteniamo una diade formata dall’uno e dalla sua riflessione, e così s’inizia una vibrazione, perché l’uno vibra dall’immutevolezza alla definizione, e viceversa». Dopo nove addizioni, nove numeri, però si ritorna all’uno per formare il dieci, perciò il nove contiene il mistero dell’uno che non ha immagine, ed il 10 ripete i misteri dell’uno che si riflette o produce emanazioni (Emily Dickinson espose queste dottrine in una poesia, a p. 64 di Selected Poems and Letters, Milano, 1962).[]

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